Senza Ali
Ho chiuso i miei rapporti con Alitalia 4 giorni fa. L’ho
fatto volontariamente e come sempre molto “di pancia”. Sono stata malissimo,
incapace persino di respirare, temendo di rimetterci molto di più di quanto andassi a
guadagnare, perlomeno dal punto di vista della mia serenità: non sono fra
coloro che raggiungono la pensione, e dovrò affrontare un periodo di
incertezze. Adesso va meglio. Chiaramente parto da una posizione di privilegio:
ho le mie garanzie. Personali, ovviamente, e le mie competenze, acquisite
sempre indipendentemente dalla compagnia nella quale ho lavorato. Che mi ha
dato ben poco, se faccio un bilancio. Così forse posso lasciare il campo a
qualcuno che non ha alternative. Uno di coloro che non è stato buttato fuori lo
deve a me. Sono felice per lui/lei.
Il mio percorso è stato quasi inconscio: all’improvviso il da farsi mi è apparso
chiaro. Credo che una delle cose che mi ha fatto pensare negli ultimi giorni è
una frase pronunciata da un mio amico che pesa come un mantra. Parlando di
altro mi ha detto che se si fa qualcosa
è perché si ha un interesse a farlo, ed ha aggiunto “hai sempre una scelta”. Mi
ha illuminato. Ovviamente è un’asserzione talmente condivisibile da sfiorare la banalità, ma è capitata in un
momento nel quale una serie di frangenti me la sbattevano continuamente sulla faccia.
Quella assieme alla semplice costatazione della verità. Dovevo solo prenderne
atto.
Mi ero già volontariamente allontanata dal lavoro. E il
pensiero di tornarci non mi allietava. Così la mia mente era già rivolta ad
una estensione del periodo di part-time. Invece la brillante e oculata gestione
di questa azienda connotata da sempre da una schizofrenia patologica, sebbene dichari un tot numero di esuberi, propende addirittura per
togliermi quello che già avevo.
Considerate le opportunità che questa azienda mi ha offerto,
dal punto di vista della crescita professionale e dell’avanzamento di carriera,
ed il benessere che è stata in grado di diffondere tra i suoi vecchi
dipendenti, ho pensato che avrei stentato a sopravvivere.
Ho fatto un conto delle ragioni che mi tenevano al lavoro.
Me ne veniva in mente una sola, oltre a naturalmente la busta paga: il mantenimento
della mia sfera di indipendenza personale. La parte del mio lavoro che è legata
alla mia identità. Ma poi mi sono chiesta se quella insaccata dentro una
divisa sempre più scadente, potenzialmente pronta a tollerare vessazioni da
parte di persone ignoranti e maleducate che prendono gli aeroplani, da capi che
sono spesso molto più giovani e sicuramente meno qualificati di quanto non lo
sia io, orientata quindi per questo ad azzerare le proprie facoltà cognitive
oltre che la preparazione accademica, fossi veramente io. Ed era qualche tempo
che dire alle persone che lavoravo come assistente di volo, mi pesava. Non
riuscivo più a identificarmi nel mio lavoro. A non sentirmene mortificata. E
pensare che un tempo mi piaceva.
Il fatto è che se questo ambiente di lavoro era già diventato
disagevole nel remoto passato di un’azienda statale che non andava bene ma che
era sicuramente meglio della organizzazione privata che le è succeduta (e che
ha goduto di una serie di privilegi non proprio canonici), di recente è
diventato davvero invivibile. E la continua periodica incertezza che cala sulle
nostre teste inesorabilmente e che fa pagare ai lavoratori le incapacità
manageriali in un contesto insano e incattivito.
E non so se questo dipenda dalla mia accresciuta sensibilità
ai meccanismi organizzativi grazie agli studi che ho fatto. Semplicemente non
ci riesco più. Il burka che mi ha difeso si è lacerato.
L’ambiente di lavoro è intollerabile. Questa è un’azienda
italiana, nella quale non esiste un equo criterio di gestione e valutazione,
per non parlare della valorizzazione delle persone. Qui è stato messo in atto
il peggior tipo di gestione terroristica ad personam. Se si mostrano capacità
critiche, competenze cognitive, un minimo di cultura, sei guardato e trattato
come una bomba potenziale.
Non viene garantito nulla di tutto quello che un posto di
lavoro dovrebbe offrire: al di là della paga un contratto tacito dovrebbe
prevedere possibilità di crescita professionale e carriera. Tutto questo a noi
è stato semplicemente negato, e ci viene costantemente negato anche il semplice
rispetto dell’anzianità: dopo tutti questi anni non solo non siamo capi ma
siamo sempre inesorabilmente gli ultimi arrivati.
Le persone pensano che sia una passeggiata, invece è un
lavoro pesante. Che non si può fare dopo una certa età, cara signora Fornero.
Le notti pesano sempre di più. I fusi non si recuperano. E i passeggeri oops
gli ospiti, mi perdoni mr Hogan, e i nuovi capi si aspettano di avere a che
fare con avvenenti e assertive hostess di 25 anni… Invece … Non si sancisce
dall’alto l’uguaglianza di genere che di fatto non c’è in un paese che invece
considera ancora le donne principalmente come oggetti di piacere. Anche per
fare il ministro devi avere un fisico da pin up.
Buffo pensare che ti estendono gli anni di lavoro
ma se superi i quaranta ti fanno sentire decrepito e indesiderato. E se perdi
il lavoro a cinquant’anni non lo ritrovi
più.
Chi ha vinto? Se volevano allontanare quelli come me hanno
vinto loro. Però questa era una guerra che non mi andava più di combattere. Che
mi ha privato della possibilità di guardarmi intorno e mi ha chiuso in un
ambiente che considero insano. Mi ha ristretto il frame di riferimento. Ha
azzerato le mie competenze. Lo so direte che sono una privilegiata. E’ vero. In
parte. Ma mi devo dare una nuova occasione. Colgo quello che mi viene offerto.
Quindi lascio a chi ha necessità di lavorare, sperando che possa farlo al
meglio delle proprie possibilità. Io cerco di nuovo una strada che mi possa
dare qualche soddisfazione.
Mi sento in parte come il topo che abbandona la nave mentre
questa affonda, e in parte come un esploratore appena approdato in una landa
sconosciuta. Una vittima e uno schiavo che si ribella. Però forse, finalmente
posso guardare la vita da una prospettiva diversa, con ali diverse che non
siano più di freddo metallo.
Un sincero in bocca al lupo!
RispondiEliminaCrepi....
RispondiEliminaRispondere "crepi" a chi ti augura "in bocca al lupo" è una scemenza.
RispondiEliminaPer il resto, ovviamente, mi sembra che tu sia stata anche troppo tenera nei confronti di un management miope e incapace come quello che ci è toccato...
RispondiEliminaTenera? Non mi pare. Comunque l'idea era solo quella di spiegare dal punto di vista personale i motivi che hanno spinto me ed evidentemente altri ad andare via. Tuttavia quello che è emerso non mi pare sia tenero...
RispondiEliminaIn quanto ai lupi è solo un modo di dire. Lunga vita ai lupi.