Vergogna! (…ma era davvero il caso?)
Tutti in Alitalia conoscono l’evento che con pedissequa
cadenza si presenta settimanalmente nella vita dei dipendenti: la newsletter che
compare sulle mail a notte inoltrata denominata da qualche simpatico creativo
“La Settimana della Produzione” … Non so a voi, ma il titolo mi ha sempre evocato
cupe atmosfere che si collocano tra il 1984
orwelliano, la cortina di ferro di Breznev (e qui rivelo la mia età), ed
episodi della saga fantozziana. E nei momenti più allegri mi pare adatta, come sottofondo, Russian di Sting… un’esplosione di gioia, insomma. Se
l’intento era quello di sfondare il muro tra dirigenza e lavoratori, mi duole
constatare che l’obiettivo ahimè non è stato raggiunto. L’incipit è brutale,
nessuna premessa amichevole come un confidenziale cari o un più formale gentili:
semplicemente un secco “colleghi della produzione”. E questo ti spinge a metterti spontaneamente sull'attenti...
Terrestri vs
Volatili?
Leggende interne raccontano che il dirigente
responsabile di tale comunicazione periodica provi una spiccata avversione per il personale navigante, il che, se fosse vero lo collocherebbe nella schiera dei tanti
nemici dei volatili che si sono avvicendati ai vertici aziendali e che di
solito, con buona pace di pochi manager (uno?) sembrano considerare gli
assistenti di volo come uno scomodo fardello da sopportare, una sorta di male
necessario che stupide normative non consentono di eliminare. Si, lo so che
parliamo di una compagnia aerea: mi chiedo ripetutamente se lo sappiano anche
tutti quelli che periodicamente si avvicendano ai vertici della stessa.
L’emotiva asetticità
Ma torniamo alla nostra affascinante newsletter, che, non
essendo un capolavoro di narratività, dovrebbe avere un fine, presumo, puramente
informativo: si tratterebbe praticamente di una asettica trasmissione di notizie
sull’andamento settimanale dell’attività di volo, piena di dati entusiasmanti sulla
puntualità e la regolarità di tratte come Torino Fiumicino e Catania Roma. Con
freddo distacco si espongono anche gli eventuali disastri operativi, come le tratte cancellate per meteo, guasti,
catastrofi naturali, avvenimenti sociali, guerre, attacchi terroristici, voli
ritardati fino all’esasperazione per varie e fantasiose cause anche
organizzative e dirottati per guai imprevisti, inclusi passeggeri moribondi.
Chi sta sul campo sa quanti disagi tutte queste cose creino, oltre che alla
clientela, anche agli equipaggi coinvolti, costringendo ad ore di servizio
prolungate, assistenza a passeggeri imbufaliti per ritardi apocalittici con
conseguenti disguidi inenarrabili. Ma le parole di ringraziamento per i
poveri protagonisti di questi avvenimenti dirompenti e frequenti latitano
nella glaciale” settimana della produzione” (menzione a parte meritano invece i
voli papali, orgoglio organizzativo, quelli si che suscitano un blando
entusiasmo nell’emittente)… la imparzialità regna sovrana fino a quando i
latori della “di cui sopra” non si emozionano di fronte ovviamente alle
mancanze della popolazione indirizzata: ed immediatamente bacchettano gli indisciplinati rivelando un ben celato fine didattico
Tra i vari dati comunicati (inclusi quelli dell’accoglimento
delle richieste che vengono divulgati in parte in percentuale e in parte in
numeri assoluti, alla faccia della trasparenza, secondo l'apprezzato modello dei problemi con
incognita dei libri di matematica scolastici) vi è anche la percentuale delle
malattie del Personale Navigante suddiviso per Compagnie (CAI, Cityliner).
Tempo fa il dato fu inopportunamente definito di “assenteismo”. Invece
nell’ultima settimana della produzione il distacco elegante, il british aplomb è nuovamente venuto meno e al dato è stato aggiunto un
aggettivo, “vergognoso”, che ha scatenato la rivolta popolare.
Il caso di fine anno
Mi sorprende che “la settimana della produzione” goda di
tutta questa attenzione… ho il sospetto che si sia trattata di una diffusione
di tipo virale, e dalla prima condivisione di un fedele quanto raro attento lettore sui social, la
frase imputata condivisa dal popolo ha incendiato l’intero settore. E l’offesa reazione è rimbalzata
da lavoratori singoli, a lavoratori raggruppati, fino al temerario dirigente ed ovviamente è stata cavalcata
anche dai sindacati… e finalmente “la settimana” è diventata un “caso”
organizzativo. “Tu mi provochi ed io mi ti magno”. Ed ha raggiunto la notorietà
dei più amati best seller.
Io sono io…
Trovo personalmente apprezzabile che il suddetto parzialmente-austero
dirigente, che per il momento sembra essere transitato indenne, beato lui, da
LAI a CAI a SAI, abbia inviato risposte personalizzate ai feriti subalterni, fornendo
una serie di spiegazioni, comprensibili dal punto di vista dei ruoli
interpretati ma temo incomplete e parziali dal punto di vista dei lavoratori. Ovviamente
per l’azienda un picco di assenze che coincide con le festività è effettivamente
un problema. Dovrebbe tuttavia esserlo anche quando il sottorganico è
determinato dalle politiche aziendali e di governo, da casse integrazioni,
solidarietà e mobilità assegnati a iosa come è accaduto la scorsa estate. Oppure sarebbe stato altrettanto degno di nota sottolineare e magari scusarsi dei disagi dis-organizzativi che la permanenza nella terra di mezzo (il passaggio da Cai a Sai) hanno provocato al lavoratore...Ma quando
è il lavoratore a subire la faccenda passa normalmente in religioso silenzio.
Non me lo dovevate
fare…
In questi giorni però di contesto in mutamento le
circostanze inducono all’ansia e alla agitazione: si avvicina il passaggio
ormai sancito dai vecchi vertici (carino il coro Natalizio Alitalia nella
palazzina della dirigenza dedicata agli addii ai vecchi dirigenti… potevano
associare un “de profundis” per salutare il personale licenziato e la vecchia
compagnia morente) al nuovo assetto proprietario, e portare un dato simile
nella nuova SAI (ma che spiccato senso dello humor: da LAI a CAI a SAI… chissà se continueranno) significa trasferire un problema irrisolto alla nuova
organizzazione ed ai nuovi vertici. Con tutte le responsabilità del caso.
Questioni da
contratto psicologico
Si legge nei manuali di gestione del personale che gli elogi
devono essere fatti in pubblico (ma soprattutto devono essere fatti…) e che i
richiami e le critiche vanno fatti in privato. In Alitalia vige evidentemente
la regola contraria. E ci si dimentica frequentemente
che esiste un concetto definito commitment,
il coinvolgimento, e che la relazione tra organizzazione e lavoratore non si
esaurisce nelle regole definite negli accordi sindacali ma che esiste un “contratto
psicologico” che include tutto ciò che
non è scritto nel contratto giuridico formale, motivazioni,
lealtà, sicurezza, valori, che fornisce il modello di comportamento ed è legato
anche alla percezione che ciascun lavoratore ha della propria influenza
nell’ambito organizzativo (che ovviamente non può essere accesa o spenta da un
interruttore secondo il piacere di una delle parti). Il contratto psicologico è caratterizzato
dalla reciprocità e coinvolge entrambe le parti, lavoratore e organizzazione. E
può essere, ahimè, violato. La percezione della violazione da parte del
lavoratore avviene quando si palesa una incongruenza tra le aspettative del
lavoratore e quanto effettivamente sperimenta, e genera risentimento, rabbia e
frustrazione, sentimenti non nuovi tra i naviganti Alitalia, soprattutto tra quelli
provenienti dalla vecchia compagnia di bandiera.
Gestire l’ingestibile
Spesso la rottura del contratto psicologico è ascrivibile ad
una gestione non adeguata delle risorse umane. Ha ragione il dirigente in
questione quando nelle sue risposte richiama al senso di responsabilità, peccato
che però punti il dito unicamente contro i lavoratori. Forse bisognerebbe interrogarsi su quello che
è accaduto in precedenza e che non è mai stato affrontato adeguatamente. I sintomi della
disaffezione c’erano tutti ed anche ben focalizzati: ben tre indagini di clima
hanno messo in evidenza le aree di malcontento, ma non ci sono stati interventi
gestionali rilevanti per mitigarne le conseguenze. Diciamo che si raccoglie ciò
che si semina. Il comportamento etico è richiesto quindi da entrambe le parti: anche l'organizzazione ha dei doveri morali. E
spesso le rotture da parte dei lavoratori intese come comportamenti non consoni
possono derivare dalla percezione di violazioni precedenti da parte dell’azienda.Ammesso che tali rotture effettivamente esistano.
Non è il vil denaro (ma
ci siamo rotti i contratti)
Non è neanche possibile limitare la spiegazioni alle mere
questioni di tipo transazionale (e a proposito se la relazione instaurata
dall’azienda è di tipo autoritativo, verticistico e normativo, non è che ci si
possa aspettare una risposta affettiva da parte dei lavoratori!). In questo
caso esiste davvero una iniquità oggettiva e non solo percepita soggettivamente,
dal momento che, sebbene i sacrifici (senza menzionare il taglio, scandaloso,
di trenta posti di lavoro) economici siano stati richiesti a tutti, inclusi i dirigenti,
solo ai naviganti ne sono stati richiesti di aggiuntivi, come il taglio della
tredicesima in un periodo critico
dell’anno (tasse, conguagli e ovviamente Natale). La cosa colpisce non solo dal
punto di vista economico, ma anche da quello soggettivo poiché l'idea sottesa è che si faccia pagare un
prezzo maggiorato a chi non si sente responsabile delle scelte fallimentari
dell’azienda, e non a chi è considerato tra i veri artefici del disastro. Ridurre
la questione ad un mero calcolo economico tuttavia non ne individua la
complessità. Tra l’altro gli studiosi di psicologia delle organizzazioni sanno
bene che le questioni monetarie non sono fra le leve più importanti del
coinvolgimento organizzativo. Quindi questa è stata solo la classica goccia che
ha fatto traboccare il vaso.
Transito dunque non
sono.
Non dovrebbe essere sottovalutata la questione
dell’incertezza: di solito generata da periodi di
transizione è purtroppo diventata
una costante nella vita lavorativa del personale Alitalia, sottoposto inoltre lungamente
a schizofreniche decisioni organizzative che valorizzano il giorno prima quello
che il giorno dopo viene cancellato con decisi colpi di spugna. Il logoramento
e la disaffezione sono un corollario naturale di quanto accaduto negli ultimi
anni, del perenne stato di crisi attraversato dalla azienda (o aziende?). Inoltre adesso si vive nell’imminenza
dell’ennesimo cambiamento che visti i risultati di quello precedente e
l’ammontare dei sacrifici aggiuntivi è affrontato con moltissima disillusione e
pochissima speranza, perché di fatto questa ristrutturazione di per sé è già
una violazione e una rottura rispetto alle promesse di quella precedente, che
risale ad appena 6 anni prima, quando i lavoratori hanno pagato con teste,
normativa e soldi (cito le parole di un epurato ex collega) per un’operazione
che avrebbe dovuto salvare capra (Alitalia) cavoli (Air One) e qualche banca ma che ha
penalizzato soprattutto la capra…. Non si può non tenere conto di tutto questo
quando si affrontano questi argomenti. Piuttosto che stigmatizzare un
comportamento con un aggettivo umiliante forse ci si poteva interrogare
reciprocamente sulla soluzione. Sarebbe stato meno unfair. La frettolosa attribuzione di responsabilità, attraverso un
aggettivo offensivo, che somiglia tanto a uno scarica barile, non fa altro che
acuire il senso di violazione e di diffidenza. Insomma sembra che si stia
dicendo alla nuova dirigenza “non sono io che ho sbagliato, sono loro che sono
cattivi”. E purtroppo la strategia non è nuova in Alitalia
…e se fosse voluto?
Viene da chiedersi se la disattenzione verso assunti che oramai dovrebbero essere acquisiti nelle pratiche
gestionali avvenga per noncuranza o imperizia, o per
incapacità cioè di vedere al di là del proprio naso, piuttosto che per malizia. A voler pensare male, al contrario, sorge il sospetto che la demotivazione
sistematica dei lavoratori sia semplicemente una strategia voluta, come se
una leadership autoritaria e iniqua tenti di spingere verso comportamenti
tacciabili di slealtà per fini epurativi, magari sfruttando le nuove normative
sul lavoro. Non ho idea di quanto
performance deludenti legate ad uno scarso commitment
siano economicamente incisive in un’azienda di servizi. A leggere i resoconti
di manager di varia provenienza la demotivazione parrebbe non convenire alle
aziende soprattutto nel terziario. Però… Questa organizzazione sembra vivere a
distanze siderali dalla valorizzazione delle competenze e delle persone. Un
motivo ci sarà. Basta esporlo. Senza lasciare che nell’incertezza i disillusi e
diffidenti lavoratori traggano le loro interpretazioni ed agiscano di
conseguenza.
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