L'Insostenibile Consapevolezza della Corruzione.



“Siamo il paese più corrotto d’Europa”. Perlomeno questo era ciò che titolavano alcune testate nei giorni passati riferendosi ad una ricerca effettuata su diversi paesi nel mondo da Transparency. A ruota sono seguite immediatamente le notizie sulla mafia nella capitale. Contenti no? Soprattutto perché ne avevamo avuto il vago sospetto. Mi sono posta una questione: come vengono fatti questi studi? viene mandato un questionario anonimo con domande del tipo “quanto sei corrotto?” a cui segue la risposta a scelta “moltissimo molto normale poco pochissimo”? Ovvio che no, e ritenendo la possibilità di una ricerca oggettiva sulla corruzione inverosimile ho quindi deciso di andare a dare un’occhiata. Giusto per sapere. Lungi da me l’idea di sostenere che in Italia non c’è corruzione, anzi… tuttavia occorre chiarire che quello descritto è un indice di corruzione percepita. Dunque è un indice soggettivo.
 “L’Indice di Corruzione Percepita valuta nazioni e territori basandosi su quanto si percepisce sia corrotto il settore pubblico. E’ un indice composto - una combinazione di indagini- tratte da dati relativi alla corruzione raccolti da una varietà di istituzioni stimate. L’indice riflette il punto di vista degli osservatori dal mondo, inclusi esperti che vivono e lavorano nei paesi e territori valutati”. (http://www.transparency.org/cpi2014/in_detail#myAnchor1)
Percepisco dunque sono?
Esiste una correlazione tra la percezione di un alto livello di corruzione nel settore pubblico e la sua effettiva esistenza? Ovviamente ipotizzo una soggettiva risposta positiva. Se non altro perché la mia personale percezione è esattamente quella che emerge dell’inchiesta. Diciamo pure che la corruzione in Italia è estremamente visibile, e se pure non fosse distribuita in misura maggiore che altrove è sicuramente sita nei punti chiave ed in bella vista… e con la questione irrisolta dei conflitti di interessi, i processi per corruzione, cenette spinte, commistioni di istituzioni con mafia e malavita organizzata, parentopoli, appalti truccati,  il tutto situato ai vertici dell’amministrazioni locali e dello stato sarebbe alquanto strano non percepirci come un paese corrotto. Ma davvero ci sono luoghi popoli o culture nei quali la disonestà è più diffusa che altrove?
Disonestà razionale e irrazionale
La teoria “razionale” della disonestà presuppone che sia compiuto un calcolo, una sorta di ROI, circa la convenienza di un atto truffaldino, basato su tre elementi: il beneficio che si otterrebbe, la probabilità di essere scoperti, l’entità della punizione prevista. E ovviamente, aggiungo, l’occasione. Sembrerebbe dunque che in questo paese valga sempre la pena di agire in modo disonesto, perlomeno ad alti livelli. Tuttavia secondo alcuni studiosi che sostengono la teoria del comportamento economicamente irrazionale degli esseri umani (vi consiglio di leggere il piacevole saggio di Dan Airely, The Honest Truth about Dishonesty che mi ha ispirato queste osservazioni) le persone non sono essenzialmente disoneste, anzi sono capaci di comportarsi spesso in modo generoso e altruistico. Quando adottiamo comportamenti illeciti di solito  commettiamo effrazioni di bassa entità, tali che ci consentano  di mantenere il nostro senso di integrità morale: quindi potremmo appropiarci, avendone l’occasione, di piccole somme irrilevanti, imbroglieremmo ma solo un pochino nei test, e così via. E secondo alcuni esperimenti, la probabilità di essere scoperti, in questi casi non giocherebbe un ruolo considerevole nell’ammontare del comportamento disonesto.
La disonestà onesta
Viviamo in una sorta di conflitto: da una parte ci piace percepirci onesti e generosi, dall’altra siamo tentati dalla possibilità di avvantaggiarsi con poco sforzo. Insomma stabiliamo una soglia (bassa) di disonestà che ci consenta di sentirci moralmente integri. In questo modo però si accumulano i piccoli atti di disonestà, che neanche vengono percepiti come tali e che ciascuno di noi considera tollerabili: i favoritismi, la trasgressione di piccole regole che affrontiamo giornalmente ovunque, anche sul posto di lavoro. Il combinarsi metodico di queste abitudini contro le regole permette di stabilire veri sistemi consuetudinari secondari all’interno dei sistemi principali, che favoriscono pochi danneggiando tutti. Chi compie questi piccoli atti non sembra provare sensi di colpa poiché questi restano al di sotto della sfera personale della tollerabilità (e come vedremo tra poco, perché sono compiuti da “tutti”).  Esistono alcuni feticci inviolabili:  una sorta di tabù circonda il denaro contante, ed infatti le persone si appropriano più facilmente di oggetti che di soldi. Il denaro è “sporco” in molti sensi. Non ci permette di distanziarci dall’azione truffaldina.   Evidentemente ciò non vale per i nostri meravigliosi corrotti che preferiscono denaro sonante, e non tracciabile. Ed anche in copiose quantità. Ma loro hanno oltrepassato la soglia da un pezzo…
Come ti sposto la “soglia”: la moralità flessibile
E allora: che "c’azzeccano" tutte questi episodi di alta corruzione e terribile disonestà? Cosa rende la nostra moralità flessibile? Secondo gli studiosi del comportamento irrazionale infatti ci sarebbero una serie di condizioni che ci potrebbero rendere più facilmente corruttibili: per esempio la nostra propensione a ricambiare i favori agevola il conflitto di interessi. Se qualcuno ci fa un favore in genere lo ricambiamo, e se ciò avviene nell’ambito per esempio del nostro lavoro saremmo più propensi a favorire la persona che è stata gentile con noi (probabilmente in modo strumentale) nelle nostre future scelte, quali esse siano. Siamo anche inclini ad agire in modo fraudolento se per esempio riteniamo di aver subito un torto, secondo un meccanismo di auto-compensazione. Inoltre siamo più cedevoli di fronte alle tentazioni quando siamo fisicamente e cognitivamente stanchi: pensiamo alle trasgressioni ad una dieta compiute dopo una giornata di duro lavoro. Quindi da una parte bilanciamo la frustrazione accumulata consolandoci con piccole violazioni, dall’altra razionalizziamo un lieve cedimento convincendoci che di fatto ne impediamo uno più importante. Invece purtroppo non è così. Tutti questi fattori, insieme alla tendenza a cercare di apparire migliori, ci spianeranno la strada verso comportamenti ancora più disonesti. Dan Airely lo definisce il “what the hell factor”: una volta che ci siamo concessi una trasgressione il passo successivo e poi quello successivo ancora incontrano sempre meno resistenza. Una volta che molli le redini e superi la soglia ti lasci definitivamente travolgere. Un singolo atto disonesto può dunque cambiare non solo il comportamento ma anche il nostro frame di riferimento per la costruzione della nostra identità. Spesso mentiamo, e lo facciamo in modo talmente tanto convincente che finiamo per credere noi stessi alle nostre bugie: e questo vale anche per le cose che riguardano la nostra autostima. Prendete quelli che mentono sui propri titoli: anche se all’inizio imbrogliano per un fine specifico, poi finiscono per convincersene essi stessi, costruendoci sopra la propria identità pubblica e sociale. Raccontiamo storie a noi stessi e agli altri: costruiamo la nostra realtà e la nostra identità utilizzando la narrazione, cerchiamo attraverso il racconto a di spiegare razionalmente le nostre scelte. E se le storie che ci raccontiamo ci pongono in una luce migliore, tanto meglio! E più siamo creativi più le nostre storie sono convincenti. Ed i creativi, oltre ad essere splendidi narratori sono anche abili bugiardi.
La disonestà è virale!
Dato il quadro generale è possibile che l’immoralità sia contagiosa? In effetti se qualcuno che ci sta vicino commette un atto disonesto noi siamo portati ad abbassare la soglia della nostra moralità. Vedere gli altri commettere un’azione illecita la fa apparire meno grave, soprattutto quando chi imbroglia fa parte del nostro gruppo sociale. Dunque modifichiamo la nostra percezione morale sulla base di quando ci accade intorno e accettiamo comportamenti immorali, ancora di più quando questi sono compiuti da una figura autorevole. Quando il comportamento non etico si diffonde ad alti livelli o a livelli istituzionali si istituisce uno stato diffuso di corruzione. Insomma la disonestà sembra erodere i codici etici socialmente condivisi e in qualche modo richiama ulteriore disonestà.
Il contesto disonesto.
In effetti non sembra esistere una inclinazione genetica o naturale specifica verso la corruzione e la disonestà che possa essere attribuita ad un intero popolo, tuttavia sembra i comportamenti disonesti possano essere facilitati in alcuni contesti, ove la loro diffusone è inoltre correlata ad una scarsità di reazioni punitive e di interventi deterrenti sistematici, esemplari e duraturi. La mia conclusione, che è strettamente personale e pure questa soggettiva non essendo sostenuta da alcun dato né assoluto né relativo, è che la percezione soggettiva di un alto livello di disonestà in questo paese corrisponda ad un livello di corruzione tristemente alto. E la mia impressione, temo condivisa, è che ogni volta che clamorosi episodi di disonestà salgono alla ribalta, sia un pochino come la scoperta dell’acqua calda: insomma tutti sanno, ma nessuno dice nulla: pochi vengono puniti, silenziato il clamore si dimentica ogni cosa, e non solo si ricomincia con rinnovata pervicacia, e più agguerriti di prima, il che ovviamente invita ciascuno di noi ad  accettare comportamenti disonesti. E ad attuarli.
 Bene. Ora si che mi sento a casa…

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