No Alitalia: the day after
La cosa più difficile sarà leggere i commenti sul NO
Alitalia dei soliti esperti universali, senza rispondere d’impulso. Perché al
solito, alla fine dei giochi, anche questa volta la patata bollente è toccata al
lavoro. In una operazione che invece dichiara tutta l’incapacità atavica dei management,
della politica (dare la responsabilità solamente a questi ministri e questo
governo sarebbe oltremodo riduttivo) e delle parti sociali, il commissariamento
viene ascritto ai dipendenti. E il piano industriale vacuo e incerto, le
strategie suicide e le amministrazioni delinquenziali dimenticate. Tanto il capro
espiatorio è stato da tempo designato. Sia quindi chiaro: non è un momento di
giubilo. Non c’è nulla da festeggiare. Gli Alitaliani
ne sono del tutto consapevoli. Ma non ci sarebbe stato nulla da festeggiare
comunque.
Ha prevalso la certezza, quasi matematica, che nel breve periodo ci si sarebbe trovati di nuovo a dover pagare un conto salato, mentre altri sarebbero usciti indenni dal disastro di cui erano e sono responsabili. Ancora una volta. Tirando avanti a campare per salvare questo o quell’investitore. Mentre, all’esterno, si produce la solita litania del “siamo stanchi di pagare i privilegi dei dipendenti Alitalia”
Per essere precisi, i lavoratori, che nel 2008 sono stati
dipinti come mostri privilegiati, responsabili dei fallimenti della compagnia,
ovviamente non sono né strapagati né sono i lavativi che i commentatori da bar
si ostinano a dipingere. Non sono loro che hanno determinato i piani
industriali sbagliati e tutto ciò che ne è conseguito. Tutto, le strategie, i
posizionamenti astrusi, le politiche aziendali, è stato deciso altrove. I
lavoratori hanno solo eseguito ciò che la dirigenza, anzi le dirigenze,
innumerevoli e incapaci, stabilivano di volta in volta.
E no, come hanno dimostrato, ultimamente, diversi analisti
il costo più importante sostenuto da Alitalia non è quello del lavoro, che
adesso è in linea, se non al di sotto, di quello dei maggiori competitors.
Ma lo era già da tempo.
Tanto abbiamo le low cost, cioè quelle che questo paese, e
solo questo, accoglie a braccia aperte. E sovvenziona. Con tutte le loro comode infrazioni al limite del legale.
Non ve lo ricordate? È, anzi era il terzo piano di salvataggio in 8
anni. Ci chiediamo chi o cosa abbiano già salvato.
Che cosa è successo nel 2008? Un pasticciaccio targato
Berlusconi, Banca Intesa e Air One, con l'italianità mandata poi allegramente al macero con l’avvento di Etihad. Solo pochi
anni dopo.
personaggi sicuramente non al di sopra delle parti, chiamati a pilotare il piano dei patrioti. In nome di una italianità mandata poi allegramente al macero con l'avvento di Etihad. Solo pochi anni dopo.
personaggi sicuramente non al di sopra delle parti, chiamati a pilotare il piano dei patrioti. In nome di una italianità mandata poi allegramente al macero con l'avvento di Etihad. Solo pochi anni dopo.
A quel punto, a nessuno importava più che si imponesse un
modello culturale lontanissimo e lo si facesse, con la tracotanza di un
invasore che intende cancellare tutto il pregresso. Non si potevano portare i
passeggeri a Parigi, ma invece ad Abu Dhabi sì.
È
altamente simbolico che da stamattina tutte le foto
del personale pubblicate su Facebook lo ritraggono con indosso le
vecchie
divise. Un rifiuto inequivocabile anche delle politiche di gestione di
questo
tremendo biennio. Perché il conquistatore, oltre a imporre i sacrifici
con i
quali ha preteso di scambiare il suo ingresso nel mercato europeo, ha
anche
umiliato i dipendenti imponendo con la forza una cultura che non
apparteneva loro; e l’azienda, ahimé, non è fatta dalla sola dirigenza. I
lavoratori hanno così sconfessato in pochi minuti l’unica cosa che il
manager Etihad
aveva effettivamente fatto, e della quale ha avuto anche il coraggio di
chiedere
il pagamento: il cambiamento forzoso culturale, suggellato dall’immagine
trionfante e pacchiana che si è affrettata a produrre, e dai
processi reiterati di rieducazione dei dipendenti. Evidentemente si è
trattato di un cambio costoso, e non
solo dal punto di vista economico.
La scelta dei dipendenti è stata irrazionale forse, dettata dall’emotività. Non è facile spiegarlo agli altri. È così, tuttavia, che si compiono le scelte, ce lo insegna
una branca specifica dell’economia. E’ l’irrational
behaviour. Chiaramente chi non ha vissuto (e subito) questi ultimi anni di
Alitalia, costellati da un susseguirsi frenetico di manager improvvisati, che
prima distruggevano e poi scappavano con una bella valigia piena di soldi, da
una politica irresponsabile ed a sindacati incapaci, non potrà mai capire. La
scelta irrazionale che rifiuta un parziale salvagente destinato ad affondare in
breve tempo esprime la consapevolezza che il vuoto propositivo di un piano che
tenta solo di appianare le finanze degli investitori porterà a breve a un ennesima
crisi da affrontare con ulteriori sacrifici. Per ricominciare da capo. In un
circolo vizioso che non si interrompe mai.Ha prevalso la certezza, quasi matematica, che nel breve periodo ci si sarebbe trovati di nuovo a dover pagare un conto salato, mentre altri sarebbero usciti indenni dal disastro di cui erano e sono responsabili. Ancora una volta. Tirando avanti a campare per salvare questo o quell’investitore. Mentre, all’esterno, si produce la solita litania del “siamo stanchi di pagare i privilegi dei dipendenti Alitalia”
La politica dovrebbe farsene carico, ed
invece di puntare il
dito contro i lavoratori, dovrebbe cominciare a puntarlo contro sé
stessa. Contro
la sua atavica mancanza di interventi per questo settore produttivo.
che non fossero a vantaggio di qualcos'altro. Ed il sindacato che ha
permesso che tutto questo
accadesse dovrebbe ricordare per chi e per che cosa esiste, e dove e
quando ha
inchinato la testa di fronte a logiche di breve respiro, gettando a mare
diritti e conquiste. Ricordando anche che pure i lavoratori Alitalia, e quelli dell’indotto, sono elettori. E contribuenti.
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