Il contrastato benessere dei naviganti (alberghi nostrani e allegre prospettive)
Nella nuova Alihad si vive un momento complesso e
contraddittorio, che si riflette negli animi dei dipendenti. Supportati da una comunicazione che appare improvvisamente
improntata ad uno sfacciato ottimismo, tanto propositiva da far intravedere nuove assunzioni e borse
di studio per gli atleti di successo, alla faccia di chi è stato mandato in
mobilità solo pochi mesi fa, alcuni dei nostri eroi hanno acceso le proprie
speranze: e travolti dalle magiche notti mediorientali si sono fatti
prendere da un improvviso entusiasmo e una sorprendente fiducia nel futuro. E così
hanno repentinamente dimenticato tutto il contesto quotidiano, quello che il
restante personale affronta nella stressante vita lavorativa in patria.
Bando all’acidità: era ora che qualcuno riuscisse a far
intravedere un segnale positivo: non è da sottovalutare la capacità
dimostrata dai nuovi leader di trasmetterlo. A colpi di
roadshow intercontinentali, e di corsi in terra emiratina, magari cosparsi da
una buona iniezione di motivazione individuale (negli ultimi tempi di CAI la comunicazione
interna languiva in favore di una spiccata propensione al marketing da
supermercato), i front liner (in verità solo alcuni) credono di intravedere
finalmente la luce.
Tuttavia, come sempre le opinioni si differenziano: mentre vengono edotti circa il Guest Care di
Etihad (che è molto elitario, in perfetta sintonia con quanto espresso dal criticato
spot con la Kidman) in quel di Abu Dhabi, alcuni (soprattutto i capi, sommi sacerdoti dispensatori della
policy della compagnia) si entusiasmano di fronte ai riconoscimenti intravisti, mentre altri (la popolazione dei senza prospettive) vedono semplicemente delinearsi un aumento del carico di lavoro, tuttavia accompagnato da una sapiente
campagna di comunicazione e indottrinamento, in stile arabo/anglosassone, con
molto spettacolo e molto show. Much ado about nothing. La verità, tuttavia, si
sa, sta nel mezzo. E la vita offre degli spettacolari contrasti.
Anche perché, nonostante le roboanti dichiarazioni ottimistiche
acquisite nelle favolose notti d’Arabia, nonostante le comunicazioni in perfetto idioma rigorosamente in business ital-english, l'attribuzione di incarichi manageriale di ogni tipo ,la vita lavorativa assume aspetti
sempre più inquietanti. Mentre la storia del pilota suicida ha fatto il giro
del mondo, ed ha trasformato i naviganti aerei da viziati privilegiati in poveri
insoddisfatti esauriti, le compagnie aeree continuano a tagliare i costi sul
personale, risicando ovunque possono. Investono, in comunicazione. Esterna ovviamente. Coerentemente
Alitalia Sai disposta a sovvenzionare improbabili borse di studio, decide
di ridurre un altro pochino il benessere dei naviganti. L’ultimo bersaglio sono
gli alberghi per le soste degli equipaggi, molti dei quali dalle città sono stati spostati in aeroporto. Oppure situati
in posti improbabili e poco serviti. Provate
voi ad essere sexy dopo aver passato 24 ore segregati in una stamberga vicino
un aeroporto o in una landa desolata lontano da ogni servizio.
E nonostante si millanti la migliore qualità della vita (si
evitano i talvolta lunghi, ma soprattutto costosi, spostamenti verso i centri
cittadini) in realtà si prospetta una sorta di prigionia per gli equipaggi,
offrendo soluzioni che non solo non permettono di fruire di un attimo di
normalità, ma che sono anche qualitativamente scarse e di basso livello. Così
sono circolate sconcertanti riprese dell' albergo di Mosca, rigorosamente in
aeroporto, con standard decisamente al di sotto del semplice decoro, e sono
arrivate consistenti proteste circa quello scelto a Tokyo-Narita, che si trova
anch’esso nei pressi dell’aeroporto, situato però su uno svincolo autostradale,
lontano quindi sia dall’aerostazione che dal paese col quale è collegato si, da
navette, ma con orari scomodi e poco frequenti. Inoltre questo vincola gli
equipaggi a procurarsi il cibo esclusivamente in albergo, il cui servizio di
ristorazione ha orari limitati. Tra l’altro, si narra, le stanze sono piccole e
molto rumorose, esposte cioè al rombo degli aeroplani che poco lontano
decollano e atterrano con una frequenza non insolita in un aeroporto
intercontinentale di una capitale di una nazione industrializzata. Una vita da
carcerati insomma: con un pizzico di tortura.
Quelli che potrebbero apparire come semplici capricci sono
invece delle necessità psicologiche e sociali. L’albergo è una parte importante
della vita del navigante, che in un mese parte 5/6 volte per voli che durano
una media di tre giorni ciascuno: le notti trascorse in albergo sono la vita
quotidiana, quello che avanza dopo diverse ore (fino a 14/15) rinchiusi dentro
ad un aeroplano a disposizione di centinaia di persone. Il volo per tokyo è un
buon esempio dello sconvolgimento del bioritmo naturale: parte dall’Italia di
solito intorno alle 15.00 locali e dura in media 12 ore: il che vuol dire che
alle 3 italiane, le 10/11 locali atterra nel sollevante. Il ritmo biologico
impone il sonno. Qualcuno cerca di resistere, altri si abbandonano. La vita 7-8
fusi a est è decisamente invertita. Quando ti svegli hai fame e dopo aver
passato diverse ore chiuso in aereo avresti il desiderio di fare quattro passi,
e poiché non è detto che la notte locale coincida con il tuo bisogno di sonno, sarebbe utile avere a
disposizione posti dove mangiare, bere, prendere un caffè, respirare un poco d’aria:
serve a riequilibrare il sistema nervoso. Anche perché dopo neanche 24 ore si è
di nuovo “sul pezzo”. Le persone devono potersi ricaricare e considerare esseri umani. Ed avere
a disposizione alcuni servizi essenziali come una farmacia, un drugstore, o scegliersi dove e cosa mangiare. E
di dormire in un posto dignitoso.
E ci si ritrova di nuovo chiusi in un tubo per 12 /13 ore, talvola anche di più. Il benessere dei naviganti, la motivazione per il
lavoro, il senso di appartenenza, stanno anche nelle piccole cose quotidiane, che
spesso chi gestisce il personale tende a dimenticare.
Non è ben chiaro cosa venga raccontato per 5 giorni in quel
di Abu Dhabi ai fortunati addestrandi: sufficiente tuttavia per accendere in
loro la miccia della speranza. Bastano in effetti un paio di coccole: ma sono
sufficienti delle puntuali soddisfazioni, anziché piccoli miglioramenti
costanti e longitudinali, per invertire un mood che invece si delinea sempre
più depresso, complici le pesanti e frequenti ristrutturazioni pagate sempre
dagli stessi? Bisognerebbe preoccuparsi del benessere dei propri dipendenti: al
contrario, se si sceglie sempre la noncuranza, in certi casi, pare, le
conseguenze possono essere devastanti, non soltanto per il singolo individuo.
Ne vale davvero la pena?
ps pare alcune lamentele siano state recepite. Speriamo si
comprenda che non si può privare i lavoratori di tutto ciò che potrebbe rendere
piacevole la loro vita, potrebbe essere economicamente oltre che socialmente
sconveniente.
Ci sono "sistemazioni" che in realtà sono delle dichiarazioni. Di disprezzo. Auguri a chi deve tirare avanti la carretta nonostante tutto..
RispondiEliminacome non essere d'accordo!
RispondiEliminaa me sembra che siate viziati oltre ogni dire. rimboccarsi le maniche ogni tanto no? perché hotel che vanno benissimo al personale di tante altre compagnie etihad inclusa a voi non vanno bene?
RispondiEliminaohibò Anonimo, è interessante il suo commento. Tralsciando la scarsa empatia che traspare (ce ne faremo una ragione) vorrei chiarire tre punti che mi sembra emergano dal suo intervento.
EliminaIl primo è relativo al suo giudizio sull'essere viziati: penso che dipenda dal punto di vista. Saprà che nel trasporto aereo esistono anche situazioni contrattuali e sistemazioni alberghiere decisamente migliori rispetto a quelle offerte da Alitalia ( il benessere complessivo di un lavoratore dipende da molti aspetti che interagiscono fra loro). Immagino, di qualsiasi cosa lei si occupi, e mi auguro nella migliore condizione possibile, il suo termine di paragone siano lavoratori contestualmente vicini e simili a lei, la cui condizione è, peraltro, auspicabile; e non persone economicamente e normativamente lontane, sfruttate e senza diritti. Non sarebbe logico,
In quanto al "rimboccarsi le maniche ogni tanto", la informo che le modalità di impiego del personale navigante Alitalia sono al limite delle normative europee: nel senso che le ricalcano perfettamente, senza sconti. Il risultato è che le modalità di impiego in alitalia, i ritmi di attività e riposo, sono spesso peggiori rispetto a quelli di molti altri vettori tradizionali europei. Quindi ahimè, nonostante i rumors, le leggende metropolitane e i luoghi comuni, ci si rimbocca già le maniche, si. Da molto tempo.
Terzo: come fa a dire che gli stessi hotel vanno benissimo per il personale di tante compagnie ? è una sua opinione o ha fatto dei sondaggi? E le è mai venuto in mente che non esprimere dei disagi possa indicare una mancanza di strumenti, istituzionali o comunicativi o sociali per poterlo fare? Torniamo quindi al primo punto, quello del termine di paragone, che vale anche culturalmente e istituzionalmente. Da questa parte del mondo le rivendicazioni sono ancora lecite. E aggiungerei, auspicabili.
Bravissima Francesca . P.s.just in case.. I am ! Tante belle cose
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