Le identità visive della nuova Alitalia (she's got the look)
Meno male: avevamo sinceramente temuto di veder volare
pacchiani aerei con colori violenti al posto dell’elegante vecchia livrea dalla
striscia verde; invece, a dispetto degli orridi prototipi circolati in rete nei
mesi scorsi, la nuova livrea Alitalia, che è in continuità con quella
precedente, è elegante e merita un ottimo voto. E’ bella la “A” tricolore che si
espande dal timone ed avvolge la parte finale della fusoliera, ed è bello il
logo sulla pancia, che permette di riconoscere l’aereo dal basso.
Non tutti hanno apprezzato la continuità, qualcuno avrebbe
auspicato un taglio più netto: sul web si legge anche qualche critica, qualcuno definisce
la livrea “boring”, noiosa, soprattutto alcuni commentatori stranieri. Questione
di gusto. Invece alla platea di alitaliani il nuovo look esterno è piaciuto. Meno, l’allestimento delle cabine passeggeri. Nel lontano 2006, epoca del restyiling precedente, erano stati aboliti i
tradizionali interni verdi, colore, dicevano, scuro ed
opprimente che era stato sostituito con una più luminosa scala di grigi,
introdotti allo scopo di neutralizzare i forti colori della bandiera, e
presentati anche nella livrea leggermente rimodernata… tutto vanificato… oggi
fanno bella mostra di sé cuscini verdi, poggiatesta gialli e rossi, paratie in
legno: un pot-pourri di colori
contrastanti secondo un gusto molto poco italiano, tali da far rimpiangere il
verdone-effetto- tappeto-da gioco dei vecchi aerei Alitalia LAI. E pensare che
dopo aver studiato a lungo per individuare i colori caratterizzanti, rispettando
le scelte del passato, dopo che il look 2006 aveva inclinato il logo (oggi prontamente ri-raddrizzato),
introdotto il grigio e stabilito il pantone di verde, tentando di dosare in
modo soft la presenza di cromatismi contrastanti, e dopo che i professionisti
della corporate (molti dei quali ancora presenti in azienda) avevano profuso un profondo
impegno per esplicitare ai più le teorie semiotiche alla base delle scelte
intraprese, peraltro condivisibili, una involuzione ci riporta indietro di una
quindicina d’anni, a quando le cabine del 747 erano riempite da sedili di
colori diversi per ogni sezione… e rimanda agli interni di alcune compagnie
charter degli anni ’70 e ’80. Toccherà rivedere tutti i manuali di identità
visiva.
Nella revisione del look è rimasto anche qualcosa di incompiuto:
le uniformi, per esempio, un tempo vanto della compagnia, e adesso tristemente obsolete
poiché tragicamente immutate dal 1998. Nell’entusiasmo della festa, la
compagnia ha previsto un piccolo cambio, una sorta di anticipazione: la sostituzione
del foulard per le capo cabina (ribattezzate con un più moderno ed
internazionale “senior cabin manager”) che è diventato rosso, e la cravatta
degliassistenti di volo di genere maschile, una regimental rossa o verde, a seconda del grado dell’addetto)
che è andata a sostituire la vecchia e tradizionale cravatta nera che la
compagnia adottava come segno di luttoin memoria dell’eccidio di 11 aviatori a Kindu nel 1961. E
la cosa non è risultata gradita ai dipendenti. La polemica del giorno si
incentra sulla cravatta che tra l’altro, per la prima volta, differenzia i
piloti dagli assistenti di volo. E sui social si registrano lamentele per
motivi etici, di prestigio e anche per questioni estetiche, perché
le cravatte sono talmente brutte da far rimpiangere quelle proposte agli
addetti di terra in occasione di Italia ’90… Inoltre, con questi aggiustamenti raffazzonati
anche l’uniforme perde la sua coerenza. Forse si poteva attendere il tempo
propizio per proporre un look totale differente, ed evitarelo spiacevole effetto
patchwork.
Al grido di “the show must go on”(nonostante i morti che
ogni ristrutturazione aziendale ha fatalmente comportato), il nuovo look è
stato presentato attraverso uno scoppiettante evento al quale hanno partecipato
oltre ai tre boss di compagnia anche un
mondanissimo Presidente del Consiglio che, a giudicare dalle foto, sembrava
essere perfettamente a suo agio nella goliardica atmosfera da equipaggio in
relax (divise che si accalcavano intorno ai quattro golden boys) … un vero party
boy modello Leonardo di Caprio, calato nel ruolo di aeronautico vitellone circondato
da donne in uniforme ed introdotto da una solerte Ilaria D’amico che voleva a
tutti i costi rafforzare il maschio (quale?). Una vera festa!
Nonostante siano passati solo 6 anni, sembrano trascorsi
secoli dall’evento di Sabelli del 2009, contestatissimo da lavoratori e
dai sindacati che riuscirono persino a dissuadere i curiosi dal presenziare,
figuriamoci dal farsi ritrarre in entusiastico sostegno alla nuova dirigenza.
La rassegnazione nella odierna realtà regna sovrana, e la normalizzazione ha
fagocitato tutte le velleità di ribellione: così l’informazione non ha
riportato nè l'affissione di un misero cartellone di protesta, magari posto timidamente al
di fuori dell’azienda, e nè la presenza di qualche politico alla ricerca di visibilità volto a sostenere la causa degli
esclusi, come accadde ai “patrioti”. Al contrario, un folto gruppo di “superstiti”
ha festosamente preso parte alla chiassosa coreografia dell’evento.
E’ apprezzabile anche l’idea di preparare un aeroplano con
tutte le “promesse” effettuate dai dipendenti circa il loro personale contributo
all’azienda. Il coinvolgimento diretto delle persone è una splendida
iniziativa. Purché non sia univoca. Perché per far funzionare il meccanismo
una triade di attori deve interagire: gli “ospiti”, che sono il target finale, i dipendenti
e la dirigenza, e non sempre gli scopi di ciascuno sono sovrapponibili. Un tempo si parlava di best practice, e ci si riferiva ad organizzazioni nelle quali i dipendenti si sentivano
a proprio agio in un’atmosfera stimolante e valorizzante. Questo non è accaduto in Alitalia negli ultimi
tempi. Come non accade più altrove in questo paese.
Chiariamo, non è che non sia giusto organizzare un plateale
rilancio coinvolgendo tutti gli stakeholder, anzi, è una scelta a suo modo dovuta: è semplicemente che l’atmosfera
festaiola stride moltissimo con le ragioni di tutti coloro che ci hanno rimesso
le penne solo pochi mesi fa. Senza contare ovviamente chi è rimasto fuori dai giochi già nel 2008 (senza che questa dirigenza ne abbia colpa, ovvio: tuttavia ci sono responsabilità che permangono ma che si ignorano volutamente).
Le ragioni del mercato, si capisce, comandano sui sentimentalismi. E dalla parte
della comunicazione aziendale la scelta effettuata ha i suoi sacrosanti motivi:
il rumoroso rilancio doveva essere fatto. Quindi, bravi! Però ciascuno ha le
sue motivazioni: l’azienda che fa l’azienda, gli esclusi che si indignano, e
quelli rimasti, i superstiti che devono cercare di trarre motivazione da quanto accade.
A suggellare la ventata di ottimismo arriva un accordo siglato coi sindacati, e divulgato dai media
proprio il giorno dell'evento, che parla di circa 300 nuove assunzioni nei
settori ground e manutenzione, qualcuna tra i recenti mobilitati, ma che per la
maggior parte si rivelano stabilizzazioni di contratti a termine. Quindi un azienda
che licenzia a novembre 2000 persone a tempo determinato nel frattempo dà lavoro ai contrattisti.
Chiaro no? E poi, come notava solerte il Sole24Ore, allo stesso tempo vengono
proposti i wet lease: un’altra compagnia effettuerà voli per conto di Alitalia,
una compagnia rumena, Blue Air (qualcuno ricorda Carpatair?) con i suoi aerei ed i suoi
equipaggi. Dopo che Alitalia ha ceduto i suoi aerei e licenziato gli equipaggi.
Chiaro pure questo, no?
"Qui l'Italia che guarda al futuro" si legge nel
sottotitolo dell’articolo di Repubblica. Quale? Speriamo bene.
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