I “decisamente troppi” (Alitalia old new style)
Apocalittici e Integrati
Il personale Alitalia, di fronte ai frequenti nuovi piani
industriali, si divide da sempre tra apocalittici ed integrati: da una parte ci
sono i pessimisti incupiti, quelli che il bicchiere lo scorgono sempre mezzo
vuoto, e prevedono immani catastrofi a breve termine, e dall’altra gli
incrollabili ottimisti, coloro per i quali invece le prospettive sono rosee, e
nutrono un immane fiducia nei piani futuri (certi che peggio di quanto è stato
fatto in precedenza non si possa fare). Bisogna ammettere che è comunque
difficile districarsi fra le continue informazioni contrastanti che quotidianamente
giungono ai vessati dipendenti. Perché anche i media vivono nella medesima
schizofrenia. Così mentre Repubblica
parla di “piani di sviluppo”, altri pubblicano tristi resoconti catastrofici: gli
inguaribili ottimisti avranno avuto un duro colpo dopo che è stato prontamente divulgato un articolo comparso su Quotidiano Travel che riporta un frase
(in evidenza nel sottotitolo) che sembrerebbe pronunciata da James Hogan in
persona, per il quale le risorse umane: “sono decisamente troppe” (l’articolo
è anche corredato dalla foto del trio Hogan-Cassano-Montezemolo trionfalmente
sorridente). Così si ricomincia. E chi sperava di essersela cavata anche
stavolta si ritrova a subire l’antico logoramento, la goccia cinese che
tipicamente chi decide di mettere mano ad Alitalia utilizza con leggiadra
crudeltà.
Le dissonanze cognitive
Un cospicuo gruppo di persone, tacciate di
essere mere portatrici di negatività, ha difficoltà anche solo ad intravedere
oggettivamente quella espansione tanto enfaticamente decantata dalle
comunicazioni istituzionali tra le righe dei report quotidiani. Era comunque
lecito sperare che, dopo l’ennesima cura dimagrante sia del proprio portafogli
personale, attraverso il contributo del 2014 (leggasi taglio degli stipendi), che
dell’occupazione, con l’ultima epurazione di ben 1502 persone (le quali
aspettano, per i pagamenti di mobilità, da 4/5 mesi INPS e CAI che, con comodo,
si rimpallano le liste), fosse finalmente giunto il momento di godersi un
pochino di meritata tranquillità, magari solo per qualche mese. Infatti dopo
ben 44 giorni dall’avvio di Etihad arriva l’articolo
disfattista e si
ricomincia. La velocizzazione repentina sarà merito del progresso (o del job
act)? Ovviamente ciò costringe anche i più pervicaci ottimisti a prendere
coscienza della loro evidente dissonanza cognitiva: quella che spinge ad
ignorare qualsiasi segnale negativo pur di non intaccare il proprio quadretto idilliaco
(e distruggere le speranze). A fronte dell’ennesimo sacrificio molte anime vorrebbero
fortemente credere nel riscatto; invece, neanche il tempo di tirare il fiato, e
si riparte con l’attacco coatto.Ci
sarebbe da citarli per mobbing collettivo e reiterato: tutti. Da 25 anni a
questa parte.
Ma di terra o di volo?
Tristemente, come sempre accade in queste occasioni ricominciano
le dinamiche di inclusione/esclusione: una parte degli ansiosi lettori ha
cercato di individuare nell’articolo a chi (“di terra o di volo?”) toccherà stavolta,
sempre secondo la teoria “dell’io speriamo che me la cavo”, cosa del tutto
fuori luogo in un’azienda la cui continuità sta proprio nella capacità
protratta di spalmare i disagi su tutti i dipendenti.Specie se operativi. Per i naviganti col
blocco dei part-time, il wet lease con Darwin (amenamente sancito proprio dalla amata “settimana della produzione” la news letter periodica destinata ai dipendenti), gli aerei a Air Berlin, ci saranno si, gli
esuberi, per forza. E diciamolo pure, il personale di Alitalia è vecchio(meno sexy?), e più
costoso (in prevalenza per mera anzianità) rispetto ai giovani virgulti che
popolano le compagnie low cost e che partecipano alle selezioni di Etihad
(esatto, in Alitalia si va in mobilità mentre Etihad assume in Italia. Altri.) Il timore che si palesa è che alla fine dei
contratti di solidarietà calerà un ulteriore mannaia. E cosa mai faranno i
prodi difensori dei lavoratori che con tanto entusiasmo hanno siglato i
sacrifici di cui sopra?
Nel frattempo ci rifacciamo il look
Nel frattempo girano incontrollate inquietanti fotografie dell’ipotetica
nuova livrea, che sembra decisamente peggiore rispetto a quella attuale. Pare evidente che
la nuova dirigenza abbia optato con un’azione di forza per la discontinuità con
l’immagine precedente. E guardando le proposte (con la speranza recondita che si
tratti di bufale) si ha la netta impressione che si voglia proprio rendere gli
aerei esteticamente più brutti. Di proposito. Che succederà alla divisa? Sembra
dunque che si voglia abolire il caratteristico verde alitaliano per abbracciare un non ben
definito blu. Forse sono nostalgicamente di parte, ed anche, temo, notevolmente sentimentale,
ma se c’era una cosa bella ed elegante in Alitalia era la livrea. Ed il verde è in fondo
un colore abbastanza raro e quindi distintivo nel trasporto aereo, nel quale dominano invece,
i blu e i rossi. Il logo, con la caratteristica “A” tricolore, era una
combinazione ben riuscita di bandiera ed iniziale, e forma della "coda". E poi, quanto costerà questa
rivoluzione nell’identità visiva? A che serve veramente? A suggellare
unicamente la discontinuità o a mostrare effettivamente chi (e da dove) prende le
decisioni?
Bye bye italianità.
Evidenziare la discontinuità attraverso l'identità visiva non è una cattiva idea, di per sé, considerando inoltre la reputazione negativa che si è accumulata di recente: tuttavia la questione va valutata attentatmente. Qui si gioca proprio sull’identità nazionale, a cui l'immagine di Alitalia è legata. Ed è vero che
in fondo i sentimenti patriottici sono rari e molto ben nascosti tra noi
italiani, però potrebbe persino accadere ciò che accadde anni fa quando British Airways
decise di togliere dalle code la union
jack, per sostituirla con i simboli provenienti dai diversi paesi del Commonwealth:
era un'idea carina sulla carta, ma non fu apprezzata dai Britannici. Ne seguì una sorta di rivolta popolare che fece ritornare la bandiera (seppure con un restyling) sulle livree. A me il messaggio sembra palese, e se si pensa che solo
7 anni fa si è fatta una tragicomica battaglia elettorale sulla italianità, ci
sarebbe quasi da indignarsi, e non contro i dipendenti oramai logorati. Con
irrefrenabile entusiasmo, abbiamo finalmente dismesso nel peggiore dei modi una
compagnia aerea che ovviamente non è più nostra e la nuova proprietà sembra
considerare il vecchio personale italico come un pesante fardello. E se qualcuno
ha tirato un sospiro di sollievo pensando di essersi liberato dei debiti della
vecchia Alitalia, bisogna rammentargli anche che si è praticamente dismesso un
ramo che poteva risultare strategico nello sviluppo industriale e commerciale di questo paese, oltre che nella creazione di posti di lavoro, lasciandolo completamente ad altri. Non so se c’è da
esserne contenti. Anche perché qualcuno paga per gli errori commessi: ma di solito non sono mai i
diretti responsabili a rimetterci. Non in questo paese.
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